Le Mura di Lucca – Con le mura dell’ultima cinta che disegnano la sagoma d’un grande fagiolo, Lucca serra il tessuto della sua città antica senza ostilità e gelosia. Il verdeggiarle tutt’intorno d’una gorgera di prati residuati dall’apparato difensivo degli spalti erbosi stempera l’originale cipiglio di quella che fu una delle più potenti macchine di difesa della sua epoca. Vista da fuori, la città sembra levarsi con torri e campanili sopra le stesse mura, incoronate da alte cortine alberate.
Dentro, invece, la città consiste stabilmente su un impianto planimetrico che corrisponde ad un manuale di storia, nel quale si legge con chiarezza quanto la parte romana e poi quella medievale ed ancora quella rinascimentale fino ai segni dell’epoca neoclassica, abbiano lievemente costruito senza intrighi e barbarie un colloquio continuo tra forma e civiltà urbana.
Senza che nessun potentato o Signoria la disegnasse a propria esclusiva immagine, le stesse mura di Lucca rinascimentali son da considerarsi un civico impegno durato quasi cent’anni – la città si è avvicendata su se stessa attraverso una trasformazione lenta e progressiva, scandita dai tempi dell’evolversi della propria floridezza economica; una floridezza basata per lo più sull’arte del commercio e sulle malizie del credito, e sul senso della misura congenito ad un popolo sempre pacifico, sempre attento a non ostentare, a non esporre il proprio benessere all’ingordigia dei riottosi vicini. Così nasce Lucca in una plaga non naturalmente amena, per via della presenza di luoghi paludosi e d’un fiume irrequieto, in prossimità ed in continua contesa con le agitate tribù dei liguri. Nasce da un castro romano che fu teatro d’uno storico summit ante litteram, quando Giulio Cesare, proconsole delle Gallie, invitò a Lucca, nel 56 a.c., Crasso e Pompeo per fissare la famosa triumvirale alleanza che decise della sorte dell’orbe romano.
Vicende politiche dell’antichità avevano fatto di Lucca una sorta di avamposto, un luogo di frontiera, un presidio da tener comunque ben munito e sorvegliato. Non c’è da stupirsi quindi della possente consistenza del suo quadrato romano e della accorta acculturazione dei suoi territori circostanti, tratti dalla palude e bonificati dai coloni romani prima, addomesticato e deviato, poi e con lavori colossali, quel fiume Serchio che, scendendo dalle remote valli della Garfagnana, andava furiosamente a confluire nelle acque dell’Arno. La città romana quindi, più che da ostensione d’abbandonati ruderi, funge da telaio ai successivi sviluppi e di questi ordina e consolida la gerarchia degli spazi, i percorsi principali, gli allineamenti: la persistenza del cardo e del decumano, della centralità del Foro, la presenza di luoghi notevoli, quali l’anfiteatro, poi incistatosi per secoli nelle proliferazioni edilizie e quindi riscoperto a metà ‘800 e mirabilmente riproposto dal genio dell’architetto Lorenzo Nottolini al godimento dei cittadini come una delle piazze più affascinanti del mondo.
Dei muri, dei reperti romani pochissime tracce, se non nascoste nel sodo delle fabbriche erette egli stessi luoghi, se non affioranti dal coacervo dei prestiti ai cantieri vicini, mura comprese. C’è da pensare che nessuna costruzione in Lucca sia mai stata realizzata – salvo rarissime eccezioni epici sventramenti e demolizioni, ma in un utile, accorto e coscientemente perseguito riuso del corpo fisico, delle strutture, delle forti ossature dell’edificato. Si assesta su questo disegno la Lucca che fu anche capitale della Tuscia Longombarda. Nel tempo questa città si amplia con le cinta di mura cosiddette medievali, di cui restano due belle porte turrite ed un tratto a nord, in pietra inglobato dall’ultima cerchia.
E si orna di magnifiche chiese, di torri, di palazzi, di belle case e di fondaci e botteghe, di magioni popolari. Qualche piazza si apre discretamente davanti alle residenze delle famiglie della nobiltà mercantile la quale si va facendo manifesta d’un cosmopolitismo affatto nuovo, e viaggia intrepidamente il mondo dei grandi mercati dell’Occidente, tanto che il nome di Lucca e dei suoi mercanti risuona dal XIV al XVI secolo con elevato riguardo nell’Europa d’allora.
Le mura di Lucca di cinta, sempre e comunque. Si può girare Lucca in lungo o in largo, scovarne i tesori d’arte e goderne, visitare con cura le dimore patrizie e le bellissime ville dell’aperta campagna, ma è difficile sottrarsi all’impressione che la chiave interpretativa della vita e della storia di questa città vada ricercata nella funzione, anche e soprattutto simbolica, affidata nei secoli a quel perimetro di mura. Mura imponenti, eppure patinate. Si vede, ebbe a scrivere Enrico Pea, che non debbono aver mai sostenuto violenze di armati. Sono mura senza crepe, in effetti, e sono così addolcite dai vialoni alberati che le accompagnano lungo tutto il loro svolgimento da lasciar supporre oggi che esse fossero in realtà più che un’esigenza difensiva un capriccio.
Un’opera divenuta mastodontica di cui oggi possiamo dire, con notevole libertà, che fu necessaria non tanto per difendere una città che nessuno, alla prova dei fatti, ha mai scelto di attaccare, quanto per sancire ante litteram l’assai moderno diritto alla inviolabilità della privacy. Quelle mura patinate in effetti non hanno avuto mai bisogno di espletare un vero compito militare. E tuttavia sono la chiave interpretativa della storia di Lucca perché sono il simbolo della sua previdenza. Dentro quelle mura per secoli i lucchesi hanno coltivato una loro particolare identità. Una identità segnata da una spiccata vocazione alla intrapresa che li ha portati ad inoltrarsi con vere e proprie correnti di penetrazione commerciale già nel Trecento nel cuore di una Europa che si affrancava dalle ruvidezze e dagli immobilismi del feudalesimo e si apriva alle sollecitazioni della nascente società mercantile.
Non è davvero un caso che proprio in questa città, ai tempi della Riforma, si sia consolidata una delle più forti comunità ereticali, persino capace di alimentare – tra il sacro e il profano, per la verità – un flusso di esuli verso la Ginevra calvinista. I nomi di alcune tra le famiglie celebri e potenti di Lucca (dagli Arnolfini ai Cenami, dai Burlamacchi ai Micheli) non soltanto sono comparsi allora nei registri di cittadinanza della città di Calvino, ma lì hanno portato le loro ricchezze ed alimentato i loro commerci senza mai tagliare il cordone ombelicale con la madrepatria. C’è chi sostiene che la celebre teoria di Max Weber secondo cui l’etica protestante sia storicamente uno dei fattori all’origine dello sviluppo del capitalismo (un autentico rovesciamento dell’analisi di Karl Marx) possa essere tranquillamente applicata all’esperienza dei mercanti lucchesi.
Quel che è certo (e sorprendente al tempo stesso) è che Lucca ha potuto coltivare e preservare nei secoli una sua particolare identità culturale proprio grazie al suo originalissimo spirito mercantile e mediatorio: un formidabile sentimento di indipendenza tutelato attraverso l’equilibrio, il senso della misura, ed una conclamata abilità a tenersi al margine dei conflitti. Abilità che è diventata politica estera ed è stata eseritata con una spregiudicatezza diplomatica che andrebbe studiata come un vero e proprio case history in un corso di scienza della politica. Se parlate con i lucchesi avrete l’impressione che tutto ciò abbia a che fare con il loro carattere e che la loro storia altro non sia che una naturale conseguenza del loro essere, del tutto naturalmente, gente libera ed indipendente.
Tratto da “Ulisse”Le Mura di Lucca – Con le mura dell’ultima cinta che disegnano la sagoma d’un grande fagiolo, Lucca serra il tessuto della sua città antica senza ostilità e gelosia. Il verdeggiarle tutt’intorno d’una gorgera di prati residuati dall’apparato difensivo degli spalti erbosi stempera l’originale cipiglio di quella che fu una delle più potenti macchine di difesa della sua epoca. Vista da fuori, la città sembra levarsi con torri e campanili sopra le stesse mura, incoronate da alte cortine alberate.
Dentro, invece, la città consiste stabilmente su un impianto planimetrico che corrisponde ad un manuale di storia, nel quale si legge con chiarezza quanto la parte romana e poi quella medievale ed ancora quella rinascimentale fino ai segni dell’epoca neoclassica, abbiano lievemente costruito senza intrighi e barbarie un colloquio continuo tra forma e civiltà urbana.
Senza che nessun potentato o Signoria la disegnasse a propria esclusiva immagine, le stesse mura di Lucca rinascimentali son da considerarsi un civico impegno durato quasi cent’anni – la città si è avvicendata su se stessa attraverso una trasformazione lenta e progressiva, scandita dai tempi dell’evolversi della propria floridezza economica; una floridezza basata per lo più sull’arte del commercio e sulle malizie del credito, e sul senso della misura congenito ad un popolo sempre pacifico, sempre attento a non ostentare, a non esporre il proprio benessere all’ingordigia dei riottosi vicini. Così nasce Lucca in una plaga non naturalmente amena, per via della presenza di luoghi paludosi e d’un fiume irrequieto, in prossimità ed in continua contesa con le agitate tribù dei liguri. Nasce da un castro romano che fu teatro d’uno storico summit ante litteram, quando Giulio Cesare, proconsole delle Gallie, invitò a Lucca, nel 56 a.c., Crasso e Pompeo per fissare la famosa triumvirale alleanza che decise della sorte dell’orbe romano.
Vicende politiche dell’antichità avevano fatto di Lucca una sorta di avamposto, un luogo di frontiera, un presidio da tener comunque ben munito e sorvegliato. Non c’è da stupirsi quindi della possente consistenza del suo quadrato romano e della accorta acculturazione dei suoi territori circostanti, tratti dalla palude e bonificati dai coloni romani prima, addomesticato e deviato, poi e con lavori colossali, quel fiume Serchio che, scendendo dalle remote valli della Garfagnana, andava furiosamente a confluire nelle acque dell’Arno. La città romana quindi, più che da ostensione d’abbandonati ruderi, funge da telaio ai successivi sviluppi e di questi ordina e consolida la gerarchia degli spazi, i percorsi principali, gli allineamenti: la persistenza del cardo e del decumano, della centralità del Foro, la presenza di luoghi notevoli, quali l’anfiteatro, poi incistatosi per secoli nelle proliferazioni edilizie e quindi riscoperto a metà ‘800 e mirabilmente riproposto dal genio dell’architetto Lorenzo Nottolini al godimento dei cittadini come una delle piazze più affascinanti del mondo.
Dei muri, dei reperti romani pochissime tracce, se non nascoste nel sodo delle fabbriche erette egli stessi luoghi, se non affioranti dal coacervo dei prestiti ai cantieri vicini, mura comprese. C’è da pensare che nessuna costruzione in Lucca sia mai stata realizzata – salvo rarissime eccezioni epici sventramenti e demolizioni, ma in un utile, accorto e coscientemente perseguito riuso del corpo fisico, delle strutture, delle forti ossature dell’edificato. Si assesta su questo disegno la Lucca che fu anche capitale della Tuscia Longombarda. Nel tempo questa città si amplia con le cinta di mura cosiddette medievali, di cui restano due belle porte turrite ed un tratto a nord, in pietra inglobato dall’ultima cerchia.
E si orna di magnifiche chiese, di torri, di palazzi, di belle case e di fondaci e botteghe, di magioni popolari. Qualche piazza si apre discretamente davanti alle residenze delle famiglie della nobiltà mercantile la quale si va facendo manifesta d’un cosmopolitismo affatto nuovo, e viaggia intrepidamente il mondo dei grandi mercati dell’Occidente, tanto che il nome di Lucca e dei suoi mercanti risuona dal XIV al XVI secolo con elevato riguardo nell’Europa d’allora.
Le mura di Lucca di cinta, sempre e comunque. Si può girare Lucca in lungo o in largo, scovarne i tesori d’arte e goderne, visitare con cura le dimore patrizie e le bellissime ville dell’aperta campagna, ma è difficile sottrarsi all’impressione che la chiave interpretativa della vita e della storia di questa città vada ricercata nella funzione, anche e soprattutto simbolica, affidata nei secoli a quel perimetro di mura. Mura imponenti, eppure patinate. Si vede, ebbe a scrivere Enrico Pea, che non debbono aver mai sostenuto violenze di armati. Sono mura senza crepe, in effetti, e sono così addolcite dai vialoni alberati che le accompagnano lungo tutto il loro svolgimento da lasciar supporre oggi che esse fossero in realtà più che un’esigenza difensiva un capriccio.
Un’opera divenuta mastodontica di cui oggi possiamo dire, con notevole libertà, che fu necessaria non tanto per difendere una città che nessuno, alla prova dei fatti, ha mai scelto di attaccare, quanto per sancire ante litteram l’assai moderno diritto alla inviolabilità della privacy. Quelle mura patinate in effetti non hanno avuto mai bisogno di espletare un vero compito militare. E tuttavia sono la chiave interpretativa della storia di Lucca perché sono il simbolo della sua previdenza. Dentro quelle mura per secoli i lucchesi hanno coltivato una loro particolare identità. Una identità segnata da una spiccata vocazione alla intrapresa che li ha portati ad inoltrarsi con vere e proprie correnti di penetrazione commerciale già nel Trecento nel cuore di una Europa che si affrancava dalle ruvidezze e dagli immobilismi del feudalesimo e si apriva alle sollecitazioni della nascente società mercantile.
Non è davvero un caso che proprio in questa città, ai tempi della Riforma, si sia consolidata una delle più forti comunità ereticali, persino capace di alimentare – tra il sacro e il profano, per la verità – un flusso di esuli verso la Ginevra calvinista. I nomi di alcune tra le famiglie celebri e potenti di Lucca (dagli Arnolfini ai Cenami, dai Burlamacchi ai Micheli) non soltanto sono comparsi allora nei registri di cittadinanza della città di Calvino, ma lì hanno portato le loro ricchezze ed alimentato i loro commerci senza mai tagliare il cordone ombelicale con la madrepatria. C’è chi sostiene che la celebre teoria di Max Weber secondo cui l’etica protestante sia storicamente uno dei fattori all’origine dello sviluppo del capitalismo (un autentico rovesciamento dell’analisi di Karl Marx) possa essere tranquillamente applicata all’esperienza dei mercanti lucchesi.
Quel che è certo (e sorprendente al tempo stesso) è che Lucca ha potuto coltivare e preservare nei secoli una sua particolare identità culturale proprio grazie al suo originalissimo spirito mercantile e mediatorio: un formidabile sentimento di indipendenza tutelato attraverso l’equilibrio, il senso della misura, ed una conclamata abilità a tenersi al margine dei conflitti. Abilità che è diventata politica estera ed è stata eseritata con una spregiudicatezza diplomatica che andrebbe studiata come un vero e proprio case history in un corso di scienza della politica. Se parlate con i lucchesi avrete l’impressione che tutto ciò abbia a che fare con il loro carattere e che la loro storia altro non sia che una naturale conseguenza del loro essere, del tutto naturalmente, gente libera ed indipendente.
Tratto da “Ulisse”